Roma, 12 giugno 2025 – I toni sono più duri che mai. Contro il terzo mandato Antonio Tajani scomoda persino il Duce e il Führer: “Non è una questione di volontà popolare, anche Mussolini aveva vinto le elezioni, anche Hitler aveva vinto le elezioni”. Sembra una chiusura totale invece probabilmente è l’avvio di una trattativa. Dal partito azzurro arrivano segnali in codice ma chiari; Fulvio Martusciello, un pezzo da novanta, mette sul piatto della bilancia i mandati dei sindaci: “Se dovesse cadere il divieto del terzo mandato per i governatori, bisognerebbe contemporaneamente cambiare la legge 81 del 1993 sull’elezione diretta dei sindaci”. Maurizio Lupi, leader di Noi moderati, rilancia: “Se si affronta la questione per i governatori, va fatto anche per sindaci e Province, per cui chiediamo l’elezione diretta”.

La decodifica che arriva dalle retrovie dello stato maggiore forzista è secca: è una trattativa aperta, anche se molto difficile. Sulla sponda opposta, quella del Carroccio, Matteo Salvini, che cerca di smorzare le tensioni, evita di pronunciarsi: “La posizione è chiara”. Inutile dire che ieri nel consiglio federale – dove si è confermato il raduno a Pontida per il 21 settembre – se n’è parlato. Grande malumore hanno suscitato le parole di Tajani, definite “grevi, offensive, fuori luogo, stupide”. E i governatori del Nord hanno chiesto al leader di spingere per la convocazione in tempi stretti di un vertice di maggioranza per discutere una proposta.
La carta calata da Forza Italia, l’elezione diretta anche dei sindaci, va interpretata alla luce della sibillina dichiarazione di Luca Zaia: “Sul terzo mandato siamo davanti a un’Italia a macchia di leopardo”. Il governatore veneto non intende solo la dislocazione geografica dei presidenti di regione e dei sindaci favorevoli al principio. Allude soprattutto alla loro collocazione politica: una cosa è la direzione nazionale di Forza Italia, un’altra i potentati locali. Divaricazione che si ripropone nel centrosinistra. Elly Schlein e il suo gruppo dirigente sono contrari a estendere i mandati di governatori e sindaci perché mirano a contenere il potere degli amministratori locali. Vero è che la proposta verrà scritta dal ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, ma formalmente a chiedere di riaprire la partita dei mandati devono essere le regioni. Insomma intorno al terzo mandato sono in molti a ballare.
Quello che non è certamente sul tavolo come moneta di scambio è l’intervento sul fisco. Giorgia è determinata, ritiene che al ceto medio debba essere dato qualcosa, dice di voler portare l’Irpef dal 35 al 33% come reclama da mesi Forza Italia. Salvini, che vuole la pace fiscale, non può che prendere atto della scelta della premier e rilanciare puntando su entrambi i provvedimenti: la rottamazione delle cartelle “operativa dal 2026 attraverso la manovra” è “complementare non alternativa” all’intervento sulle tasse. Tajani concede la sua approvazione, “ma prima va fatto il taglio dell’Irpef”. Ci mette il timbro il portavoce di Forza Italia, Raffaele Nevi: “Se ci sono i soldi, facciamo pure la rottamazione”. A ritrovarsi inguaiato è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ha in cassaforte un esiguo tesoretto di 6 miliardi, basta appena per l’Irpef. Lui promette di provarci: “Cerco di creare le condizioni”. Che riesca a farle scattare contemporaneamente è improbabile, ma potrà forse promettere una tempistica precisa.
Difficile anche immaginare uno scambio intorno allo ius scholae. Tajani insiste: “Spiegheremo agli alleati la nostra proposta”. Salvini non ci sta: “Non è una priorità. Mi piacerebbe che il centrodestra si concentrasse su temi comuni”. Musica simile anche da Fratelli d’Italia: “La proposta di Forza Italia non è nel programma del centrodestra”, taglia corto Giovanni Donzelli. In politica non si può mai dire, ma qui i margini per un accordo sembrano ridotti all’osso.