Domenica 22 Giugno 2025
RITA BARTOLOMEI
Inchieste

Sanità, la grande fuga. “Ero primaria, ecco a quanto ho rinunciato. Ho scelto la qualità di vita”

Luisanna Cola, 60 anni, fino a gennaio primaria in ospedale a Fermo, nelle Marche: “In questo momento non cerco un posto. Lavoravo senza orari, con straordinari non pagati e ferie non godute, con una responsabilità altissima. Ed era diventato impossibile rispondere alle domande dei cittadini”

Sanità, la grande fuga. “Ero primaria, ecco a quanto ho rinunciato. Ho scelto la qualità di vita”

Fermo, 15 giugno 2025 – Si è pentita? “Assolutamente no”. Luisanna Cola, 60 anni, fino a gennaio primaria in ospedale a Fermo, nelle Marche, risponde al telefono mentre sta annaffiando le ortensie in giardino. Sono almeno tremila ogni anno le dimissioni nella sua categoria. 

Dottoressa Cola, che lavoro fa oggi?

“Non sto lavorando. E sono tra quelli che non cercano un’occupazione”.

Si parla di una grande fuga nella sanità privata.

“Dal punto di vista fiscale, al momento attuale il lavoro nel privato è favorito. Parliamo di medici, non di infermieri, perché l’aliquota che si applica è diversa. Per noi è del 43%. Il lavoro extra - che alcuni come gli anestesisti possono fare e altri no e che viene chiamato lavoro a gettone -, è tassato al 15%, perché non ci sono medici. E invece di pagarlo 60 euro all’ora, viene pagato 100".

Insomma due registri.

"Già questo è molto fastidioso: è come se una persona valesse una cifra se lavora in modo ordinario e un’altra se lavora in modo straordinario. Questo non è corretto, spinge anche al burn out. Non credo sia giusto che lo Stato debba spingere il lavoratore ad andare oltre le 38 ore alla settimana, con un capestro economico, se lavori di più ti pago di più. Perché questo dovrebbe essere coperto da assunzione di personale”.

Grandi dimissioni: nel 2024 hanno superato 1,2 milioni tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato
Grandi dimissioni: nel 2024 hanno superato 1,2 milioni tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato

Nel privato, invece, come funziona?

“Chiunque apra una partita Iva, per i primi cinque anni paga il 5% di tassazione. Dopo 5 anni, il 15% di tasse, basta che sia una partita Iva forfettaria, il guadagno massimo può arrivare a 85mila euro, ne vengono tassati 68mila. Quindi si guadagna molto di più e si lavora di meno, ad esempio non si fanno le notti. Inoltre, i pazienti sono più sani, non ci sono le urgenze. In clinica si opera chi decide di farlo”.

Lei perché si è dimessa?

“Ero un dirigente, dovevo decidere grandi cose. Per me era diventato impossibile rispondere alle esigenze dei cittadini. Il più delle volte ero costretta a concludere, non so come aiutarti, non so come fare”.

A quanto ha rinunciato?

“Il mio stipendio netto era di 5mila euro netti al mese. Ero capo del Dipartimento di emergenza e della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione. Lavoravo senza orari, con straordinari non pagati e ferie non godute, con una responsabilità altissima”.

Vita da pazzi?

“Sicuramente molto impegnativa. Il mio è un caso limite, prendiamo un anestesista che arriva a guadagnare in media 3.500 euro. Nel privato, li fa in 15 giorni di lavoro, per gli altri 15 può stare a casa. Se vuole guadagnare 7mila euro può farlo, lavorando per 20 giorni. Senza sabati, senza domeniche, senza notti. Quindi, se vogliamo che il sistema sanitario pubblico torni ad essere competitivo, dal punto di vista della tassazione bisogna pensare ad agevolazioni, non si può tassare al 43% perché è un lavoro socialmente utile. Vale anche per insegnanti e vigili del fuoco”.

Diranno, lei se lo può permettere.

“Mio marito lavora, cerco di capire quello che si può fare nell’attesa, prenderò la pensione tra 9 anni, il tfr tra due e mezzo la prima parte, un altro anno per la seconda”.

E non sta cercando un lavoro.

“No, in questo momento non lo sto cercando. Nel mio settore è diventato talmente faticoso lavorare che è meglio non farlo. Le statistiche Ocse e il libro di Francesca Coin, Le grandi dimissioni, dicono che la motivazione economica non regge. Ed è più facile che si dimettano proprio quelli che non se lo possono permettere e che cercano un’alternativa di vita”.

La parola chiave che spiega le dimissioni qual è?

“La parola chiave è qualità della vita. Nel lavoro dipendente è talmente scarsa e il guadagno è talmente esiguo che si preferisce di evitare di lavorare. Io avevo un ottimo stipendio ma è tutto calcolato nell’aspettativa di progressione di vita che si ha. Mio suocero era medico di famiglia, è stato primario, con un lavoro anche faticoso e pericoloso, notti insonni. Ma aveva una prospettiva di miglioramento che gli faceva sopportare i sacrifici. Invece dal 1965 in poi, le generazioni hanno iniziato a guadagnare meno di quelle precedenti”.

Quali sono le prospettive?

“Ci sarà una flessione mostruosa del mercato, l’impoverimento lo vediamo già, non si trovano medici ma nemmeno lavoratori nella ristorazione e nel turismo. Perché? Perché la gente per 1.500, 1.300 o 1.200 euro, non potendoci fare niente, perché con quei soldi non ci paghi nemmeno le bollette, preferisce stare a casa. E sono più gli uomini delle donne. Nella sanità ormai lavorano solo donne, non ci sono più uomini che vogliono fare gli infermieri. I figli non si fanno. C’è un gender gap pericolosissimo”.

Cosa vogliono i giovani?

“L’ultimo rapporto europeo dice che i giovani vogliono due cose, work life balance deve essere equo e non vogliono perdere la loro identità. Quindi vogliono andare a lavorare come sono, gay o con i capelli verdi o un certo credo religioso. Sono singoli che vogliono essere riconosciuti come tali. In Italia non è possibile, c’è troppa normalizzazione”.

E i sessantenni?

“Ma il mondo del lavoro non diversifica sulle necessità dei trentenni o dei sessantenni. Anche questo si vede nelle relazioni. L’Italia è il paese che ha il più alto disagio lavorativo”.

E qual è, invece, la prospettiva della sanità pubblica?

“Bisogna che rifletta su quello di cui c’è davvero bisogno, non su quello che vogliamo. Se la percezione di salute degli italiani rimane questa, guarire da qualsiasi malattia, financo dalla vecchiaia e dalla morte, senza impegnarsi nel mantenimento del proprio stato di salute, è molto difficile poter curare. Nel ‘78 eravamo Servizio sanitario nazionale, nel ‘92 siamo passati da Usl ad Asl, da unità sanitaria ad aziende, il paziente ha percepito il medico come dipendente di un’azienda che fa fatturato, non salute. Quindi un’azienda nemica che mi costringe a spendere soldi miei perché non trovo posto nelle liste d’attesa. Perché quel medico fa libera professione... Una distorsione totale della realtà”.

Da ultimo: pensa che il suo gesto sia stato capito?

“Intanto non è isolato. Come sempre, lo hanno compreso più le persone fuori che dentro il sistema. L’idea che me lo posso permettere? Se c’è qualcuno che si può permettere di fare entrare in casa 5mila euro in meno al mese, me lo devono presentare”.

OSZAR »