Roma, 7 giugno 2025 – Andrea Olivadese, direttore Seconda divisione Sco della Polizia di Stato. Qual è la mappa delle baby gang in Italia, oggi? “Il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale, non c’è una connotazione geografica specifica. Anche se magari possiamo trovare riferimenti maggiori in qualche periferia degradata di grandi centri urbani”.
Quali sono i reati più frequenti commessi dalle bande giovanili?
“Sicuramente rapine, aggressioni anche gratuite o violenza di genere. Ma il primo elemento veramente nuovo che vedo è la grande possibilità di veicolare e moltiplicare i contenuti, attraverso i social. Venti e trent’anni fa si raggiungevano 100 persone, oggi sono diventate 10mila”.

Le bande giovanili sono composte da italiani e stranieri, mette in luce il report 2024 della polizia. Il Servizio analisi criminale, elaborando anche i dati dei Carabinieri, ha aggiornato l’indagine di Transcrime.
“Sì, il problema tendenzialmente è trasversale. Poi ci sono ragazzi in contesti più problematici, cosa che merita un’analisi”.
A Bologna nel 2013 ci fu una solenne resa dei conti tra Bolobene e Bolofeccia. Il fenomeno riguarda anche gli ambienti più ‘dorati’.
“Sì, quando parliamo di violenze gratuite o atti percepiti come di divertimento. Non sempre si parte da ragazzi che vivono in contesti difficili”.
Esistono simboli, un gergo?
“Diciamo così: non è o non è ancora una gergalità associativa, quindi un linguaggio riconducibile a un’organizzazione criminale. Perché è importante parlare di devianza giovanile più che di criminalità”.

Qual è la differenza sostanziale?
“Deviante è l’atteggiamento genericamente scorretto, quindi la volontà di ’fare il gradasso’. Importante è non vederlo degenerare in qualcosa di diverso. Criminale è invece la vera e propria violazione di norme del codice penale”.
Le soluzioni: dalla repressione all’educazione?
“Il secondo è un elemento fondamentale. L’azione repressiva e preventiva nostra, fatta ai massimi livelli, può cercare di risolvere un problema più o meno nell’immediato. Quella preventiva lavora nell’ottica di medio-lungo periodo. Però questa logica la recuperiamo solo con l’educazione e la formazione. Noi cerchiamo di spingere e coinvolgere tutti: scuole, enti sportivi, famiglie. Tutti dovrebbero cercare di esercitare un’azione positiva sui giovani, in particolare su quelli che rischiano di sbagliare”.
La Dia – Direzione investigativa antimafia - lancia l’allarme sulle baby gang: sempre più giovanissimi attratti dai circuiti criminali.
“E questo è il secondo elemento veramente nuovo, l’abbassamento dell’età, dopo le visualizzazioni sui social. Il 13enne di oggi naturalmente non è quello di 20 anni fa. Cresce molto prima, nel bene e nel male”. Ma c’è il pericolo che minori ‘affiliati’ a bande giovanili finiscano nelle mani della criminalità organizzata? “Questo è un altro piano di discussione, non è escluso che i due mondi vadano a toccarsi. Però sono concetti diversi”.